Intanto, l’Amministrazione ha acquistato – per una cifra pari a 9 miliardi e 700 milioni di lire, compresi i lavori strutturali, solai, impianto elettrico, fognature, ecc. – l’edificio nel quale sorgono le tre sale dell’India. Si tratta di due ambienti al piano terra, modulabili e capaci di ospitare fino a 300 spettatori e uno al piano superiore, non ancora agibile. Oltre alla zona di ingresso, sempre a livello terra, che va a creare un’enorme foyer. Data la stretta vicinanza delle sale – sono divise da una parete – esse non potranno, però, venire utilizzate contemporaneamente. Agli spettatori è riservata una gradinata di seggiolini, posti sul lato più corto della sala. Ma, il pubblico potrà accomodarsi anche lungo le pareti laterali, secondo le necessità dell’allestimento scenico.
La biglietteria e il bar, invece, si trovano tra le vecchie mura dell’ex deposito per l’acido solforico – al di là del largo piazzale – che potrà, anch’esso, trasformarsi in spazio teatrale all’aperto.
La rivivibilità di questa prima area dell’ex fabbrica della Mira Lanza ha implicato anche una piccola rivoluzione del territorio con la riconquista di Lungotevere dei Papareschi – subito prima/dopo Ponte dell’Industria, quello che i romani chiamano Ponte di Ferro. Da quel tratto scomparso e sconosciuto ai più, dove il fiume scorre senza argini tra la vegetazione, ora si accede al Teatro India. In questo spazio inconsueto si snoderà un programma di spettacoli che non vuole, però, contrapporsi al cartellone dell’Argentina, ma anzi con quest’ultimo procedere su di un medesimo binario, associando tradizione e ricerca. E, a parte la politica dei prezzi che ha bloccato il costo del biglietto a 20.000 lire, è stata messa a punto una nuova ipotesi di “abbonamento”, non individuale e aperto all’acquisto, a metà prezzo, di quanti più biglietti si voglia, secondo la quota prepagata (cento, centocinquanta o duecento mila lire). Un’idea, questa “carta teatro”, che – ha sottolineato Martone – sta già provocando lunghe file al botteghino.
Vediamo, allora, gli spettacoli che saranno allestiti, nei prossimi due mesi, tra le vecchie pareti dell’edificio paleoindustriale, il cui intonaco racconta ancora di precedenti passaggi. E la decisione di non intonacare quei muri vuole essere un segno della volontà di conservare la memoria del luogo. Dopo la trilogia shakespeariana di Carlo Cecchi, all’India arriveranno le antiche danze balinesi dell’isola di Batun, seguite da Danio Manfredini con Al presente e Il miracolo della rosa (dal 29 settembre al 17 ottobre).Quindi, Le false confidenze di Marivaux con la regia di Toni Servillo (dal 6 al 17), Peter Sellars con The story of a soldier di Stravinskij (dal 22 al 24) e Shopping & Fucking Ravenhill diretto da Thomas Ostermeier (il 30 e 31). Poi, a fine ottobre, l’India chiuderà, per avviare i lavori dell’impianto di riscaldamento, e la stagione 1999-2000 del Teatro di Roma proseguirà – in un gioco di rimandi metaforici immaginato da Martone – nella sala settecentesca dell’Argentina.