
In una ambientazione ideata dallo scenografo Luigi Serafini (che ha curato anche i costumi), il sipario si apre sull’immagine di un obitorio: garze in croce alle pareti e la carta geografica delle due Germanie, un cadavere avvolto in un lenzuolo bianco e un medico legale, o meglio lo psicologo di stato Salewsky, interpretato da un dosatissimo Gianfranco Mauri, ad illustrare i risultati dell’autopsia. Non sappiamo a chi appartenga quel corpo senza vita, ma ben presto, dalle crude metafore del resoconto, scopriamo che si tratta di uno dei componenti del gruppo Baader-Meinhof, i fondatori del movimento terroristico della RAF, morti in circostanze misteriose nel carcere di Stammheim dove erano reclusi. Ma quel cadavere è, allo stesso tempo, anche quello della Germania prima della caduta del muro, che nella durezza dello scontro tra gli opposti schieramenti, tra la ferocia repressiva del potere e l’irriducibile radicalismo della lotta armata rivoluzionaria, disegna la parabola discend ente di un modello politico colto al suo declino. Le ultime perdite in un campo di battaglia che si chiama ideologia. L’autopsia è illuminante nella sua macabra diagnosi: “Qui dentro c’è tutto il meglio che la fabbrica delle illusioni abbia prodotto in cent’anni d’inganni… un cuore, che prima di cessare di amare per obbedire, deve pure aver creduto: presenta infatti una lesione dalla parte della buona fede.” E ancora “il lobo sinistro, sede dell’égalité, presenta un’ammaccatura, il lobo destro, sede della fraternité, è praticamente distrutto, l’ipòfisi, sede dell’utopia, si è come dissolta tra i resti sconvolti di una fraternité passata dall’illegalité alla clandestinité … Diagnosi?…Ideologia.” Ascoltando queste battute viene in mente la lezione di anatomia del medico protagonista del testo di Thomas Bernhard L’ignorante e il folle, ma il linguaggio di Antonio Tarantino è ancor più radicato nella materia, nella cruda verità del corpo con i suoi umori e le sue miserie, con le sue pulsioni e necessità. Un linguaggio aspro, asciutto, a volte severo, a volte lirico, a volte osceno, che attinge dalla concretezza della realtà quotidiana, per poi trasfigurarsi in una lingua di personalissima ed eversiva visionarietà. Esilarante nella sua paradossalità, la scena in cui Giovanni Crippa nei panni dell’industriale Martin Schleyer, compare in mutande, nella prigione del popolo dove è segregato. Come incurante della drammatica situazione, concentra la sua lamentazione in un lungo monologo sull’indecorosità e la scomodità degli slip, o troppo stretti a comprimere e segare, o troppo larghi ad attorcigliarsi attorno alle parti più sensibili dell’uomo, e quel ridicolo indumento diviene, man mano, la metafora di una costrizione, di una coercizione inesorabile, come quella prigione dalla quale Schleyer uscirà solo da morto. E che dire dell’irresistibile parodia del dialogo telefonico tra il cancelliere tedesco Helmut Schmidt e il presidente somalo Siad Barre, sulla possibilità di far assaltare il Boeing in mano ai terroristi palestinesi dalle teste di cuoio nell’aeroporto di Mogadiscio. Le battute comiche e le gags surreali che Giuseppe Pambieri e Riccardo Bini si rilanciano senza sosta in scena, sono pagine degne della nostra migliore rivista. Funambolici doppi sensi, irresistibili confronti di forza, minacce, corruzioni e trattative, messi in scena come un teatrino di marionette, un grottesco e sgangherato balletto di potenti. Perdono colpi la scrittura di Tarantino e l’allestimento del regista Cherif nei quadri dedicati ai terroristi, le confessioni di fede del commando palestinese affacciato dagli oblò di un aereo sospeso nell’alto della scena, o le insostenibili torture psicologiche raccontate dai membri del gruppo Baader Meinhof nel carcere di massima sicurezza dove sono rinchiusi. Qui il dramma si carica di enfasi, e il lirismo si stempera nella retorica. Qualche taglio alle circa quattro ore di rappresentazione e un’accelerazione del ritmo gioverebbero all’efficacia di quest’imponente e vivacissimo affresco su questa buia e tragica pagina della nostra recente storia europea.