
Il Valle di Roma ha presentato una sorta di pannello incatenato che ha buonissime ragioni d’essere, con un numero, Edipus, che nel ’94 si è meritato due premi Ubu; una serata con due testi, Due lai (Erodiàs – Mater strangosciàs), per la prima volta in scena nel luglio del ’98; una parentesi conclusiva, Cleopatràs (in realtà cronologicamente anteriore ai Due lai nell’invenzione testoriana), premio Ubu a Lombardi nel ’97.
Il tutto da vedere come proposta affidata al teatro, come sequenza di oggetti politi e traslucidi, come insieme ormai definitivamente inscindibile di testo e criteri rappresentativi. Insomma, ecco il Testori di Lombardi–Tiezzi. Suona diverso dai testi originali? Suona come suona, ora. Con una figura perno, un’icona di sicura affidabilità che trasmigra dal complesso, intarsiato Edipus, coacervo di pulsioni erotico–metateatrali, al doppio numero Erodiàs – Mater Strangosciàs, ove ancora si richiede la presenza immaginata di una platea attenta, mentre l’Erodiade padana si scioglie nel casto recital di una Madonna senza trucco, e la Cleopatràs ancor ossessa dal corpo di Antonio, si offre sotto un bagno di luci fassbinderiano.