Taormina (ME) – Lev Dodin ha ritirato a Taormina il Premio Europa per il teatro 2000 (una cifra equivalente a 120 milioni di lire). Con il pubblico siciliano e i molti artisti e responsabili di istituzioni europee (pochissimi gli italiani), si è “sdebitato” presentando ben due spettacoli: uno al suo debutto assoluto, ed era un testo contemporaneo, Molly Sweeney dell’irlandese Brian Freel; l’altro risale a quasi venti anni fa, ed è l’episodio conclusivo della tetralogia tratta dal romanzo fiume di Fedor Abramov Fratelli e sorelle, di cui il pubblico italiano ha avuto modo negli anni scorsi di applaudire i due momenti centrali.
Due spettacoli dunque lontani nel tempo come nell’esperienza di Lev Dodin alla guida del Maly Teatr di San Pietroburgo. Ma anche due modi di vedere il teatro, e di conseguenza facce diverse di questo artista, che il premio sancisce davvero come ultimo maestro del novecento, il secolo della regia. Di cui non a caso lo stesso regista si riconosce debitore al fondatore Stanislavskji, attraverso la frequentazione di un suo discepolo illustre. La casa di Abramov ha avuto agli inizi problemi con la censura sovietica, perché di quella società metteva in scena il momento delicato degli anni sessanta, quell’attesa di un “disgelo” che non veniva mai. Lo spettacolo racconta in particolare l’ultima, amarissima fase della famiglia che in uno sperduto centro agricolo di provincia, narra attraverso la propria storia quella dell’intero paese: dalla Rivoluzione d’ottobre allo stalinismo, dalla guerra mondiale inondata di sangue alla guerra fredda dopo Yalta. Tutto visto attraverso le piccole cose di tutti giorni in quella famiglia e in quel paese: le parentele e gli amori, la fame e la solidarietà. Un racconto epico e impetuoso, che si vale dell’interpretazione di un gruppo di attori straordinari, e nel quale si intravedono in formazione le immagini scultoree che hanno commosso ed entusiasmato lo scorso anno il pubblico italiano di Cevengur.
Possibilmente ancor più crudele è la contemporaneità struggente di Molly Sweeney, la donna cieca che un intervento chirurgico mette per un breve periodo in grado di vedere, prima che la difficoltà della nuova percezione del mondo, e l’improntitudine dell’intervento del chirurgo senza scrupoli, non la riconsegnano a un buio eterno, preceduto dalla perdita del marito strampalato e dall’attraversamento della follia. Un testo duro, che fa dell’Irlanda profonda una provincia dell’anima, fotografata da Dodin in un giardino autunnale dove seggiole di contenzione ruotano e si affacciano su una piscina senza acqua e senza vita. Una natura morta che attira nel suo gorgo l’umanità disperata di quei personaggi.
I due spettacoli hanno linguaggi differenti (anche se l’ambientazione socioculturale pare avere una sua simmetria), mentre li accomuna l’intensità degli attori. Visti di seguito, a Taormina, hanno dato però la misura della grandezza e della poliedricità di un vero maestro della scena, Lev Dodin.