a1n5sabbie1Roma – Buio in sala. Nel cosmico vuoto da immaginare, un’astronave si perde, fa naufragio, tutti muoiono. Si salva solo un bel capitano dalla romantica barba, precipitato su un pianeta di sabbia, che reca il nome di Sabbie. E Sabbie è ciò che hanno preparato l’associazione culturale L’Archimandrita e lo staff del romano teatro Furio Camillo, spazio quasi cantina che, bene o male ha dato ospitalità a gruppi più o meno al margine, più o meno innovativi, più o meno criptici, senza troppa differenza fra danza e teatro in senso stretto, anzi alimentando le vie della contaminazione.
a1n5sabbie2L’inizio, raccontato da una flebile voce, è già di per sé indice di bizzarria e anche, se si vuole, di coraggio. Chi ha più osato proporre soggetti di fantascienza (e qui si va nella fantasy, a tratti) a teatro? Ci sono stati, nei primi decenni del Novecento, tendenze del genere (Capek, Vasari), ma il tutto abortì perché il cinema stava avendo la meglio, almeno dal lato del dinamismo, del montaggio, del trucco, degli effetti speciali, della verisimiglianza.
Qui invece, si ripropone l’improponibile, facendo adagiare il sopravvissuto, tale Zonca, su un letto di similsabbia (pare sia mangime per cani, ma fa la sua suggestiva figura), mentre lo culla, al risveglio, una sorta di guida virgiliana un poco grottesca che lo introduce ai misteri del pianeta. Lo abitano creature di sintesi, né umane totalmente né animalizzate completamente. Chi le creò? Un dio potente (che sarebbe in fondo il dio classicamente biblico) o uno scienziato in via di sperimentazione? Qui, la scrittura di Andrea Felici, anche regista del tutto, introduce un facile relativismo: il creatore ora è umano, ora è divino, ora è un essere soprannaturale tormentato nella sua solitudine, ora un mago novello che si consola con un Golem laboratoriale. In più, paccottiglia da viaggio interstellare, con la donna farfalla che si innamora dello straniero, anche se si tratta di donna di sintesi costretta a vivere nello spazio di un giorno. Poi i l creatore la richiamerà a sé, esponendosi anche alla vista del capitano coraggioso. Anche noi sappiamo allora la verità: si tratta di uno scienziato, con probabili autoinnesti di artificialità, il quale ha passato il suo tempo nella gestione del suo teatro di freaks. I quali sono probabilmente felici e beati, e amano, e soffrono, ed emettono suoni. Poi la fine: Zonca uccide con un siero non ben definito il dottore padrone e pare prenderne il posto. Un anello- graticola che gira, resta lì a significare alternanza, vita e morte, e chissà cos’altro.
Tanta carne al fuoco, tante simboliche valenze, e vari accostamenti di offerta attoriale: una recitazione a tratti comicamente tinteggiata, alcuni strappi di teatrodanza che sollevano sabbie e insieme sollevano dubbi su ciò che si vede. E’ uno scherzo? E’ una riflessione gonfia d’ambizioni che si schiantano, anch’esse, sulle sabbie del pianeta? Fino al 30 aprile.