Napoli – Cento anni fa nasceva Eduardo De Filippo, figlio illegittimo del grande Eduardo Scarpetta. Una condizione anomala di figlio d’arte, di diversità, di erede obliquo di una tradizione. Una condizione che lo spingeva a porsi nei confronti del repertorio paterno – affidato tra l’altro al figlio legittimo di Scarpetta, Vincenzo – in posizione subalterna e conflittuale e quindi ad inventarsi in qualche modo una propria tradizione. Perché la diversità può essere una trappola di vittimismo o costituire una scomoda ma creativa bandiera di ambizione e riscatto. Se si affronta Eduardo con questa traccia – fuori cioè dal consueto cliché della gabbia sociologica; di un autore di teatro popolare e piccolo borghese; fuori dal salotto buono della problematica sociale (pur senza nulla togliere alla passione civile che Eduardo ha manifestato nel corso della sua vita e della sua opera), il suo teatro ci appare caratterizzato da forti elementi di modernità e contemporaneità. Dentro un contesto teatrale affidato agli impresari e alla natura squisitamente economica del “mestiere teatrale” nel quale il teatro era parte di una comunità che ne decretava il successo e il fallimento e quindi la sopravvivenza stessa di compagnia, attori e capocomico. Questo determinava la necessità di una continua invenzione di testi, canovacci, sketch, numeri di avanspettacolo, opere che concorrevano ad un solo preciso scopo: il gradimento del pubblico. Un pubblico quindi che era l’impalcatura stessa dell’intrattenimento teatrale.
Bisognava quindi inventare continue opere nuove che andassero incontro ai gusti del pubblico (e del resto Scarpetta si affannava a trasporre in napoletano copioni francesi). Ma era anche necessario per il giovane e ambizioso Eduardo, inventare un proprio teatro che superasse la pur riconosciuta riforma scarpettiana.
Se Scarpetta era andato oltre la maschera e il tipo fisso, inventandosi un personaggio – Felice Sciosciammocca – e delle storie più articolate, Eduardo sostituisce alla comicità di impronta scarpettiana – rigida, buffonesca e ripetitiva con forti retaggi della commedia dell’arte – il concetto di humour, idea modernissima e di grande innovazione. L’humour non è solo comicità ma é riflessione sulla comicità, è il personaggio che si frantuma e ride di se stesso, è la sintesi di comico e tragico, è di fatto l’invenzione di un nuovo e più complesso personaggio teatrale. Non è un caso che tra i primi testi di Eduardo agli esordi del Teatro Umoristico dei De Filippo, troviamo Sik Sik, l’artefice magico, un individuo che si presenta sbrindellato in palcoscenico di cui la stessa tela o sipario ha pietà tanto sono ridicoli e incongrui quanto tragici i suoi numeri.
E già in Sik Sik troviamo il senso di una magia visionaria che si incrocia maldestramente con la realtà. E giungono i testi più maturi, come Natale in casa Cupiello; spuntano fuori risvolti sotterranei e antropologici. Il presepe come irraggiungibile cavità, antro, grotta; il pater familias e la grande madre onnivora, nemica della casa, foriera di sciagure; la gag, frutto del sudato apprendistato di palcoscenico, usata come ludico preludio, distrazione, introduzione del pubblico al dramma; la suspence come tecnica di intrattenimento. E i personaggi contraddittori e ambigui che non compongono più quell’arcaico universo, semplice e ingenuo della farsa ma un impianto drammatico più complesso che prevede al suo interno il pubblico come coro, come elemento “a monte” del processo di scrittura.
Con Natale in casa Cupiello e con gli altri suoi “drammi di famiglia” come Napoli milionaria o Questi fantasmi o Filumena Marturano, per citare solo alcune delle sue opere più famose, Eduardo si configura come autore del Novecento italiano che esprime una drammaturgia di acuta contemporaneità.
Certamente Eduardo è stato anche un grande attore ed è inutile citare quella sintesi perfetta tra autore e interprete che abbiamo visto tante volte in scena fatta di espressioni, silenzi, pause e in definitiva di una straordinaria coincidenza tra il detto e il non detto di una condizione; tra scrittura e recitazione. E questa sua grandezza come attore, la sua stessa popolarità che Io hanno portato ad essere un autore conosciuto in Europa e nel mondo; la sua capacità di fare scuola ad un numero impressionante di attori napoletani e non hanno però posto in seconda luce quella che oggi è la sua più importante eredità: la sua opera drammaturgica. La quale va considerata come un corpo drammatico di enorme interesse, che dovrebbe trovare altri interpreti, altri registi, italiani ed europei, che vadano oltre il ghetto sia pur fascinoso della napoletanità, che si avvicinino ad Eduardo come a Goldoni o a Pirandello, cioè come ad un classico della nostra tradizione.
Di Luciana Libero è in uscita da Mario Guida Editore Le lacrime di Filomena. Quattro lezioni su Eduardo. Un breve saggio nel quale l’autrice approfondisce gli elementi trattati nell’articolo