a1n10vasc1Roma – In pratica due coreografi a confronto, nel romano Teatro Vascello, ospiti della stessa sala a distanza di pochi giorni, per il classico appuntamento tardoprimaverile dedicato alla danza italiana. Lucia Latour, con Šansa (in scena nei giorni scorsi) e Massimo Moricone, che presenta due creazioni in una sola serata: Controfiato e Aria (fino al 2 giugno). E’ bene intenderci che non stiamo parlando di confronto con premio finale, ma di due visoni a se stanti, e anche ben distinte.
La Latour persegue da anni un percorso di eleganza senza mai distaccarsi da nostalgie del primo Novecento. Sono le avanguardie delle origini che monopolizzano il suo interesse, quelle avanguardie “calde” e rivoluzionarie, tutte fisse nell’idea di riplasmare mondo, uomo, società. Ad un passo dai totalitarismi che sarebbero seguiti, poco prima del pugno di ferro e dell’appiattimento. Lucia si muove invece in un tempo in cui la rivoluzione ancora ribolle, quando l’utopia è forte, quando la speranza è la scaturigine dell’ispirazione creatrice. Ma, si badi bene, la Latour non è certo una pesante archeologa: lei inventa, e attinge, molto, dalla contemporaneità, con predilezione speciale per i sincretismi fra le arti o, quando la cosa è particolarmente ben riuscita, per la fusione. Così corpo e materiale d’artista si fondevano, almeno per un istante, nel suo penultimo lavoro, Du vu du non vu, sempre al Vascello, sala che pare perfetta per le a1n10vasc2sue incursioni spaziali che amano la larghezza e la profondità, e questo affinché allo spazio sia data voce spiegata. Con Šansa, anche il titolo diviene programma: la parola, slava, è l’equivalente del nostro “possibilità”. E allora che gli elementi si combinino, che la materia sia ora in primo piano, ora serva al danzatore e venga messa in grado, scientemente, di designare lo spazio nel quale il danzatore è confinato ad operare. Teli innalzati come quinte, sagome di legno che divengono aree di danza all’interno di una più vasta area di danza, proiezioni luminose (eccellentemente progettate dal sempre anticonvenzionale Loic Hamelin, qui più bravo che mai e in commovente sintonia con la coreografa) che tagliano nel buio altre zone alternative dove il corpo possa esprimersi con i suoi geroglifici di carne. Il tutto è come, da tradizione, raffinatissimo, appena velato di una patina intellettuale che però conosce un dinamismo fisico che mai rende morta l’operazione. Va da sé che i mai esausti danzatori svolgano al meglio ciò che vien loro richiesto, rivitalizzando una supermarionettistica tradizione che mai risuona come sclerotica, come pulsante suona la colonna sonora pregevole di Enrico Venturini.
Passando poi a Massimo Moricone, più domande che risposte risuonano come feedback rispetto a ciò a cui abbiamo assistito. Se Controfiato è un assolo che lo stesso Moricone ci presenta con gradualità – prima steso a terra in un triangolo luminoso, poi ergendosi, ma prima essendosi definito come essere a quattro zampe – il numero di complemento alla serata, Aria, vive di un contrastante fascio di tensioni. Non risolte, diciamolo pure, ché ogni linea a capriccio vorrebbe affermarsi sulle altre. Spadroneggia a tratti la cantante Michiko Hirayama, che esegue vocalmente e rumoristicamente una partitura di John Cage di fine anni 50, ma subito la situazione si rovescia e non si risolve comunque quando entrano in scena i cinque danzatori, offerti in tratti di purezza che potrebbero quasi far risorgere spettri di un ballet blanc alla Balanchine. Moricone si dimostra allora coreografo ben conscio delle sue origini alte, da accademia vagamente ammorbidita: carico d’arte, non la nasconde, ma la esibisce con quasi neoclassica padronanza. Dove sta andando, Massimo Moricone, che ama definirsi <<artista dalla poetica fortemente contraddittoria e quasi sempre in chiara controtendenza rispetto a logiche di mercato>>?. Cerca forse il divenire come misura a lui più consona. Getta nella perenne indecisione chi lo osserva seduto in platea. La sua compagnia di danza sarà ancora al Vascello a partire dal 14 giugno con Stretto di fuga, quest’ultimo numero baroccamente ispirato a J. S. Bach.