a1n10fig1Venezia – L’ultimo allestimento del Teatro La Fenice (proprio in contemporanea con l’applaudita Incoronazione di Poppea di Monteverdi a Firenze firmata da Ronconi), dà utili indicazioni allo spettatore su quello che dovrebbe essere un fecondo e reciproco scambio tra opera e prosa. Le nozze di Figaro di Mozart sono infatti andate in scena sotto il provvisorio tendone del Palafenice al Tronchetto, per la regia di Toni Servillo. L’opera è uno dei capolavori assoluti, come si sa, non solo di Mozart ma di tutta la storia della lirica. Ma il successo trionfale che ha riscosso ogni sera, diretta dal maestro Giancarlo Andretta e interpretata da una compagnia di canto giovanissima e vocalmente ben dotata, è in buona parte dovuto proprio alla regia di Servillo. Che ha fatto tesoro qui (più ancora che nella precedente Cosa rara di Martial y Solèr con cui proprio alla Fenice aveva debuttato lo scorso anno nella lirica) delle sue più recenti a1n10fig2regie teatrali, i due Molière, Misantropo e Tartufo, e Le false confidenze di Marivaux. Del primo e del terzo anzi mescola l’effetto scenografico, avanzando l’orchestra e i cantanti rispetto al pubblico, e costruendo assieme a Daniele Spisa un neutro contenitore grigio di broccato, disseminato di porte e aperture, appena animato da qualche letto, poltrona o scrittorio che salgono dal pavimento.
a1n10fig3Con un rigore assai poco diffuso (che non a caso trova udienza e spazio proprio in questa Fenice così protesa al nuovo) Servillo taglia via invece tutti gli orpelli rococò della tradizione mozartiana, per ripescare del bellissimo libretto di Lorenzo da Ponte l’origine nel Beaumarchais a un passo dalla rivoluzione francese. Di Mozart cavalca invece la libertà di composizione e di morale: quei personaggi vivono un felice stato di natura erotica, tutti desiderano qualcuno o anche più alla volta. Non c’è peccato e non c’è neppure innocenza, ma la gioia consapevole del gioco che mina in continuazione gli ordini costituiti, sociali, sessuali, militari che siano. Grazie a 45 giorni di prove, i giovani cantanti ripetono il miracolo (come era successo a qualcuno di loro già nel Don Giovanni di Peter Brook) di scoprirsi attori navigati, e di riuscire a imprimere quindi al gioco mozartiano, la loro freschezza furiosa. E’ un allestimento delle Nozze questo, destinato a segnare una cesura, anche rispetto alle edizioni illustri che dell’opera mozartiana conosciamo. Qui Cherubino, e la sua programmatica e insaziabile ambiguità sessuale, diventano fisicamente un incontrollabile elemento demoniaco, un segno di vero machiavello teatrale che ci rende l’opera, nonostante tanto gusto e divertimento, ancor più crudele, quasi un punto di snodo tematico ed emotivo tra Così fan tutte e Don Giovanni.