Roma – Parole che diventano segni, suoni che si trasformano in gesti e in movimenti fluttuanti del corpo. E’ questa l’essenza dello spettacolo Segni proposto dal gruppo Muk Teatro del Silenzio al Teatro Valle di Roma il 12 e il 13 giugno nell’ambito della rassegna “Maggio cercando i Teatri”. La messinscena, diretta da Vasco Mirandola, è un viaggio nell’esperienza della compagnia nata nel 1996 in seguito ad un laboratorio condotto dallo stesso regista nel Convitto Magarotto di Padova frequentato da ragazzi non udenti. Sotto lo sguardo del pubblico, infatti, prendono corpo via via frammenti dei due allestimenti precedenti (A me frega niente, del 1997 e Prove di volo, 1999) ai quali si aggiunge uno Studio sull’ultimo lavoro, ancora in progress, che debutterà in forma definitiva soltanto tra qualche mese. <<Segni – si legge nel programma di sala – come tracce, orme impresse in quattro anni di ricerca sul linguaggio, segnali da un mondo che vive nel silenzio>>, Segni – aggiungiamo noi – come bisogno di rivelare agli udenti un universo sconosciuto dove il chiasso della realtà precipita e ammutolisce nel tentativo di ritrovare il desiderio rigeneratore di mettersi all’ascolto degli altri.
Nello spettacolo, il silenzio corrode il tessuto verbale e diventa il meccanismo costruttivo delle varie situazioni che affiorano magicamente dalle “mani parlanti” degli attori, dai loro corpi esibiti attraverso una gestualità amplificata dalla danza e dalla musica, ma mai sopra le righe rispetto al racconto scenico. Un racconto svolto per sequenze brevi e sketch esilaranti in cui sembra essere riscoperta e rifondata una nuova sintassi espressiva che passa essenzialmente per la fisicità del gesto e la ritmicità del movimento, recuperando la ricchezza di codici comunicativi non convenzionali. Difficile, allora, restare indifferenti di fronte all’energia sprigionata da uno degli interpreti nello sforzo di sfuggire alle grinfie di un branco di ragazzi violenti: la sua paura è tutta negli occhi e il suo dimenarsi frenetico è persino più forte delle urla di chi è abituato a sentire. Impossibile non rimanere affascinati dai “segni carichi d’amore” rivolti da un ragazzo ad una ragazza nel provare a sedurla: soltanto un complesso alfabeto a noi ignoto ci rivela la ritrosia e la finale compiacenza della fanciulla. Non si può non afferrare il messaggio profondo trasmesso da quell’insolito stormo di uccelli, legati a tal punto ai beni materiali da perdere persino la naturale confidenza con l’aria. Essi si azzuffano per niente (un chicco di grano, un sasso, un ramo) e a forza di rubarsi le cose l’uno con l’altro finiscono per far atrofizzare le loro ali. Soltanto quando arriva una strana presenza che si muove come il vento e riesce a far volare miracolosamente le sue mani gli altri capiranno: dietro quei segni si nasconde una visione diversa del mondo, l’unica a permettere loro di staccarsi dall’abitudine del possesso e di ritrovare la poesia della vita. La scena – tratta da Prove di volo e liberamente ispirata a Il verbo degli uccelli del poeta persiano Farid Ad-Din ‘Attar – è giocata con estrema abilità recitativa da tutti gli attori (in questa parte, il rapporto armonico tra musica e azioni rivela più che altrove l’efficacia del training elaborato dal regista), impegnati in bellissime coreografie e in spassose interpretazioni dei volatili più disparati. Il monito rivolto alla platea è chiaro: a volte, le parole non bastano e il corso degli eventi ci obbliga ad andare oltre la semplice apparenza dei fatti per superare le differenze e ritrovare comuni qualità umane. Convinzione che Vasco Mirandola ribadisce nel finale della messinscena, facendo interagire tre attori udenti e tre attori sordi (nel tempo, la compagnia oltre ad operare uno scambio continuo con le scuole ha provveduto ad integrare gruppi di udenti), i quali vinceranno le barriere linguistiche dopo aver dimostrato ciascuno di saper immaginare un luogo, un tempo e uno spazio dove il sentire e il non-sentire si possano incontrare. La sera della prima al Teatro Valle il messaggio è arrivato: la platea non ha soltanto applaudito. Molti spettatori hanno sollevato in alto le braccia e hanno salutato gli attori con una girandola di mani.