
Tutto è giocato sulla sottilissima linea di confine che “non” separa la finzione dalla realtà. In questo bilico gli attori si avvicendano nella parte dello scozzese regicida, entrando in uno psicodramma, condotto direttamente da Punzo, questa volta palesemente in scena con i suoi attori. E se nella Prigione uno degli elementi di forte impatto era il lavoro fisico della massa di attori-detenuti in continuo movimento sulla pedana obliqua, in questo Macbeth è la solitudine dei singoli a colpire allo stomaco lo spettatore.

L’azione maieutica di Punzo arriva talvolta ad offrire un po’ di colore rosso che l’attore si spalma volentieri sulle mani, interrogandosi sul male compiuto – dal personaggio – mentre sui monitor sparsi in scena passano le immagini di altri Macbeth (quello di Carmelo Bene, Glauco Mauri…). Una ridondanza che si esaspera quando i monitor, come fossero specchi, per altro usati in altri momenti dello spettacolo, iniziano a vomitare lo stesso pezzo che l’attore sta agendo in quell’istante sulla scena.
Ma lo sconfinamento nel reale di questa finzione scenica arriva al parossismo quando il fragore dei tuoni che esce dagli altoparlanti si sovrappone alla furia della natura, annunciando un temporale che fortunatamente non arriverà ad afflosciare la scatola scenica.
Lasciandola integra ancora per un giorno, l’indomani. Data fissata per la firma del Protocollo di intesa col Ministero della Giustizia che finalmente riconosce il lavoro ultradecennale della Compagnia della Fortezza. Firma che segna la nascita ufficiale a Volterra di un Centro nazionale teatro e carcere.(M.S.)