OMAGGIO ALLA ”CLASSICA MODERNITA”’ DI EIMUNTAS NEKROšIUS

Soveria Mannelli (CZ) – E’ dedicato al regista lituano Eimuntas Nekrošius, il quinto volume della collana “Teatro contemporaneo d’autore” pubblicata dalla casa editrice calabrese Rubbettino. La monografia, curata da Valentina Valentini (anche direttrice della collana), offre al lettore la possibilità di avvicinarsi al lavoro di un grande protagonista della scena contemporanea sul quale gli studi prodotti sino ad oggi sono scarsissimi in ambito internazionale o addirittura inesistenti in Italia. Considerando, infatti, che Nekrošius non ama accompagnare le proprie messinscene con diari, note di regia, commenti e testi scritti di qualsivoglia natura, è stato sempre difficile reperire documenti di prima mano e sistematizzare il percorso espressivo dell’artista. A ciò è da aggiungere il problema della lingua: confrontarsi con i pochi materiali critici maturati nel contesto culturale russo-sovietico costituisce una barriera in più per chi non legge il russo.
Coadiuvata da un nutrito staff di traduttori e studiosi (italiani e stranieri), Valentina Valentini è riuscita ad organizzare un’opera organica e ben equilibrata nelle diverse parti che la compongono dove, agli interventi di storici del teatro e ai colloqui diretti con il regista, si alternano le riflessioni sugli spettacoli e un ricco apparato iconografico di Maurizio Buscarino. Il risultato è un ritratto a tutto tondo di Eimuntas Nekrošius e un omaggio alla “classica modernità” dei suoi allestimenti, indagati nel volume con un approccio analitico che sembra discostarsi da quello euro-occidentale, secondo cui l’intera produzione dell’artista lituano sarebbe da ricondurre ad un’armonica commistione fra l’eredità di Stanislavskij e quella di Mejerchol’d. Un’eredità senza dubbio da non trascurare, ma elaborata da Nekrošius attraverso un’originale esperienza teatrale che dimostra come sia possibile attingere alla tradizione e, al t empo stesso, rileggerla alla luce di nuove prospettive critiche ed estetiche. La messinscena è concepita dal regista alla maniera di un “organismo vivente” in grado di raccontare storie, far agire personaggi, lasciare scaturire conflitti, sentimenti, passioni all’interno di un meccanismo costruttivo che, tuttavia, sfugge al naturalismo psicologico e non arriva mai ad essere intaccato <<dal morbo dell’autoriflessività – sostiene Valentini – che si è impadronito totalmente del teatro occidentale>>. Quest’ultimo, a partire dalle avanguardie storiche, per liberarsi della tradizione aristotelica e naturalista ha dovuto compiere un’operazione di azzeramento – del testo letterario, delle dramatis personae e del racconto – che ha avuto la conseguenza di attuare, anche in tempi più recenti, una contrapposizione fra spazio scenico e testo, gesto e parola. Il regista lituano, al contrario, cerca di “armonizzare” le opposizioni, realizzando op ere che coniugano in una sintesi straordinaria astratto e concreto, tragico e comico, descrizione e narrazione, uniti dal principio della fusione dialettica dei contrari in una dimensione dinamica che richiama alla memoria l’idea del “montaggio delle attrazioni” teorizzata da Ejzenštein.
Nel volume, alla Presentazione della curatrice – la quale spiega le ragioni che hanno dato lo stimolo ad elaborare la monografia e i criteri scelti per condurre la ricerca – seguono due corposi saggi, pensati per orientare il lettore nel panorama scenico-drammatico della Russia del secolo scorso. In particolare, lo scritto di Massimo Lenzi offre un quadro preciso ed esaustivo della cultura russo-sovietica di quegli anni, animati da Vachtangov e Majakovskij, Mejerchol’d e Tairov, Stanislavskij e Nemirovič-Dančenko così come da tante altre personalità meno divulgate in Occidente, eppure altrettanto importanti per comprendere la cornice storica che fa da sfondo all’esperienza di Nekrošius. Passando in rassegna autori, registi e spettacoli, Lenzi affronta, inoltre, il rapporto avanguardia-tradizione, il grande retaggio attoriale che la Russia dei primi del Novecento ha saputo consegnare alle generazioni posteriori, le posizioni assunte dalla critica teatrale e dal potere politico nei confronti di artisti e messinscene dal periodo della NEP fino al 1950.
Lo studio successivo – separato dal primo da foto in bianco e nero di Pirosmani, Pirosmani (1981) e Zio Vanja (1986), restituiti da bellissimi primi piani e scene corali che evocano l’eccezionale poeticità degli allestimenti di Nekrošius – raccoglie gli interventi formulati nel 1987 dagli esponenti più rappresentativi dell’intellighenzia sovietica in occasione di una tavola rotonda promossa dall’autorevole rivista Voprosy teatra per formalizzare in sede teorica il clamoroso successo della tournée moscovita del Teatro Statale della Gioventù guidato dal regista. Dai verbali del dibattito, riportati integralmente nel libro, si colgono informazioni preziose su tutta l’attività di Nekrošius, si delineano i contorni della sua estetica e si afferrano i caratteri distintivi dei suoi spettacoli. Nel vivo della monografia si entra, poi, con un’intervista all’artista lituano realizzata da Valentina Valentini (un raro commento dal vivo alla formazione e al percorso di Nekrošius) e un saggio della curatrice che spiega in cosa consista la “classica modernità” del regista e come non sia pertinente applicare le categorie di “nuovo teatro” o “tradizione del nuovo” (categorie che hanno segnato i percorsi del teatro d’avanguardia occidentale) al lavoro di Nekrošius, viste le profonde differenze tra la storia teatrale russo-sovietica e quella euro-americana degli ultimi trent’anni.
La seconda parte della monografia è dedicata interamente a Hamletas, rappresentato per la prima volta a Vilnius nel 1997. Dalla conversazione dell’artista con la critica Ramune Marciukevičiūte si chiarisce il lavoro condotto sul testo shakespeariano, mentre nello scritto Soltanto un debuttante può recitare Amleto (ancora Marciukevičiūte) è la scelta di affidare al cantante rock Andrius Mamontovas il ruolo del giovane principe di Danimarca a sollevare interessanti riflessioni sul significato profondo che il teatro ha per Nekrošius (egli ama ripetere: <<il mondo è un teatro>> e se questo è vero, anche un non professionista può essere Amleto!). Un ultimo affondo, infine, sulla scrittura scenica del regista è offerto da Bruno Roberti. L’autore si sofferma dettagliatamente sul linguaggio espressivo di Hamletas, cogliendone il carattere metaforico e concreto che rende tattile, olfattiva, sonora, non solo la parola drammatica ma persino lo spazio, la voce e i gesti degli attori attraverso una magica alchimia di visioni oniriche sempre ricercate, però, da Eimuntas Nekrošius nella materialità viva delle cose.
Concludono il volume una rigorosa Nota biografica, una Teatrografia completa fino a Makbetas (1999), una ricca Bibliografia e una Filmografia ragionata.