
Coadiuvata da un nutrito staff di traduttori e studiosi (italiani e stranieri), Valentina Valentini è riuscita ad organizzare un’opera organica e ben equilibrata nelle diverse parti che la compongono dove, agli interventi di storici del teatro e ai colloqui diretti con il regista, si alternano le riflessioni sugli spettacoli e un ricco apparato iconografico di Maurizio Buscarino. Il risultato è un ritratto a tutto tondo di Eimuntas Nekrošius e un omaggio alla “classica modernità” dei suoi allestimenti, indagati nel volume con un approccio analitico che sembra discostarsi da quello euro-occidentale, secondo cui l’intera produzione dell’artista lituano sarebbe da ricondurre ad un’armonica commistione fra l’eredità di Stanislavskij e quella di Mejerchol’d. Un’eredità senza dubbio da non trascurare, ma elaborata da Nekrošius attraverso un’originale esperienza teatrale che dimostra come sia possibile attingere alla tradizione e, al t empo stesso, rileggerla alla luce di nuove prospettive critiche ed estetiche. La messinscena è concepita dal regista alla maniera di un “organismo vivente” in grado di raccontare storie, far agire personaggi, lasciare scaturire conflitti, sentimenti, passioni all’interno di un meccanismo costruttivo che, tuttavia, sfugge al naturalismo psicologico e non arriva mai ad essere intaccato <<dal morbo dell’autoriflessività – sostiene Valentini – che si è impadronito totalmente del teatro occidentale>>. Quest’ultimo, a partire dalle avanguardie storiche, per liberarsi della tradizione aristotelica e naturalista ha dovuto compiere un’operazione di azzeramento – del testo letterario, delle dramatis personae e del racconto – che ha avuto la conseguenza di attuare, anche in tempi più recenti, una contrapposizione fra spazio scenico e testo, gesto e parola. Il regista lituano, al contrario, cerca di “armonizzare” le opposizioni, realizzando op ere che coniugano in una sintesi straordinaria astratto e concreto, tragico e comico, descrizione e narrazione, uniti dal principio della fusione dialettica dei contrari in una dimensione dinamica che richiama alla memoria l’idea del “montaggio delle attrazioni” teorizzata da Ejzenštein.

Lo studio successivo – separato dal primo da foto in bianco e nero di Pirosmani, Pirosmani (1981) e Zio Vanja (1986), restituiti da bellissimi primi piani e scene corali che evocano l’eccezionale poeticità degli allestimenti di Nekrošius – raccoglie gli interventi formulati nel 1987 dagli esponenti più rappresentativi dell’intellighenzia sovietica in occasione di una tavola rotonda promossa dall’autorevole rivista Voprosy teatra per formalizzare in sede teorica il clamoroso successo della tournée moscovita del Teatro Statale della Gioventù guidato dal regista. Dai verbali del dibattito, riportati integralmente nel libro, si colgono informazioni preziose su tutta l’attività di Nekrošius, si delineano i contorni della sua estetica e si afferrano i caratteri distintivi dei suoi spettacoli. Nel vivo della monografia si entra, poi, con un’intervista all’artista lituano realizzata da Valentina Valentini (un raro commento dal vivo alla formazione e al percorso di Nekrošius) e un saggio della curatrice che spiega in cosa consista la “classica modernità” del regista e come non sia pertinente applicare le categorie di “nuovo teatro” o “tradizione del nuovo” (categorie che hanno segnato i percorsi del teatro d’avanguardia occidentale) al lavoro di Nekrošius, viste le profonde differenze tra la storia teatrale russo-sovietica e quella euro-americana degli ultimi trent’anni.

Concludono il volume una rigorosa Nota biografica, una Teatrografia completa fino a Makbetas (1999), una ricca Bibliografia e una Filmografia ragionata.