Siracusa – Ci sono molti modi per essere Medea. La storia della potente maga orientale che aiuta Giasone a conquistare il vello d’oro e che, tradita, uccide i figli avuti da lui, è un tema cupo e ha avuto numerose trascrizioni, da Euripide a Seneca, da Heiner Müller a Christa Wolff. Molti e diversi anche i tagli dati alla sanguinosa vicenda. La passione d’amore che può trasformare una madre in infanticida si leggeva negli occhi di Maria Callas, interprete del film di Pasolini. Ma in Medea, altri hanno valorizzato la prospettiva della straniera, dell’esule, della spaesata senza colpa, per esempio Grillparzer, Anouilh, Corrado Alvaro. Qualche mese fa anche Emma Dante, ne ha dato una personale sicilianissima versione.
La Medea di Euripide che si rappresenta fino al 19 giugno al Teatro Greco di Siracusa – per il 40º Ciclo di rappresentazioni classiche organizzate dall’Istituto per il Dramma Antico – è stata una Medea prima di tutto accidentata, poi rischiosa, ma infine solare, come vuole l’antico copione. Il debutto di metà maggio, nella luce al tramonto della Sicilia orientale, è stato ostacolato da parecchi imprevisti, ma si è concluso con un trionfo: un’ascensione barbara e abbacinante, grazie anche alla profusione di qualche milione di watt.
Andando con ordine. Prologo inedito a questa 40ª edizione è stato il gesto di protesta degli operai degli stabilimenti petrolchimici siracusani in sciopero per la messa a rischio di quasi 10mila posti. Consapevoli di quanto gli spettacoli al Teatro Greco siano un momento fondamentale per il turismo, il sindacato ha comunque deciso di non bloccare le rappresentazioni, come qualcuno annunciava evocando il blocco del Festival di Avignone l’anno scorso. E’ bastata la lettura di un documento, molto applaudito peraltro.
Anche il regista dello spettacolo, Peter Stein, ha voluto dire la sua, e in un secondo inatteso prologo ha spiegato che gli spettatori avrebbero visto solo una prova, dati i ritardi, le incomprensioni con la direzione dell’Inda, le difficoltà tecniche che comportava l’impianto scenico e la gestione delle luci, non ultimo il rischio per l’incolumità degli attori. Con lui, il pubblico seduto sulle antiche pietre è stato però meno generoso. E sono volati i fischi.
Ma è apparso chiaro che un ruolo decisivo doveva avere, in questa Medea di Stein con protagonista Maddalena Crippa, l’enorme gru issata su un lato del teatro greco, contro il sole al tramonto: una vera coprotagonista, accanto alla Crippa attrice, come si sa, dalla voce muscolosa e dal temperamento incendiario.
Sole e fuoco sono i motivi-chiave dello spettacolo. Non solo perché Medea, la maga che ha dato a Giasone due figli è nata dalla stirpe del Sole. L’idea di Stein è stata di dare letteralmente corso all’apoteosi finale di Medea verso il cielo, con il carro di fuoco che la sottrae alla punizione per aver ucciso i due bimbi. Il regista ha fatto costruire un vero e proprio disco solare, centinaia di proiettori ad altissima intensità e wattaggio disposti a raggiera, e lo fa sollevare dalla gru, assieme al carro, con Medea e i due ragazzini sgozzati, fino a una trentina di metri d’altezza, nel vuoto. Un terremoto (il vecchio sensurround dei cinema) scuote intanto le viscere degli spettatori con un tremendo rimbombare di bassi.
Grandi effetti insomma, per uno spettacolo in sé abbastanza semplice però discretamente rischioso e intonato a un’impostazione severa e barbara. Lo si era capito subito, all’inizio, dalle urla selvagge che Medea lancia dall’interno della sua casa. Anzi, la sua casina, stile Hansel e Gretel, prefabbricata, in assi di legno, sulla sommità di una microscopica collina, ideata dallo scenografo Ferdinand Woegerbauer. E mentre la nutrice giuggiolona di Carla Manzon si affretta a distogliere i bambini e li porta verso i birilli e i balocchi posti al limite della scena, ecco volare fuori dalle finestre, insieme a rinnovate grida, anche stoviglie e pentole. La dote domestica di Medea, che per buona parte dello spettacolo si affaccenderà attorno a quei pentoloni, pur discutendo animosa con i suoi interlocutori. Sono minacce, suppliche, maledizioni per i maschi che, sempre sbagliando, le determinano il destino. Il Giasone rosso di capelli di Gianluigi Fogacci, che sa come fare carriera anche nell’antica Corinto, barcamenandosi tra letti e politica. Il Creonte testardo di Paolo Graziosi, che la costumista Moidele Bickel veste di bianco hollywoodiano. Ci sono poi Fabio Sartor e Giovanni Crippa, rispettivamente Egeo e il messaggero, che inutilmente si spendono in consigli e resoconti. Il destino di Medea resta segnato, legato a quel suo passionale e incoercibile modo di sentire e amare, giusto per il carattere ardimentoso di Maddalena Crippa, che non dimentica di essere stata, proprio su queste pietre di Siracusa anche Pentesilea, regina delle Amazzoni. Temperamento, il suo, aggressivo, indomito, di fuoco, appiccato letteralmente allo spettacolo e agli spettatori ai quali, la sera della prima, non è mancato il brivido dell’incendio. Le fiamme che si stavano pericolosamente diffondendo dal braciere in cui Medea prepara la sua velenosa pozione, sono state spente da un pompiere subito accorso con le apparecchiature adatte. Colpo di scena inaspettato e bella smentita a quanti sostengono che la tragedia sia oggi un genere estinto. Niente affatto. C’è sempre necessità di qualcuno con l’estintore.