Sestri Levante (GE) – Attrazione della serata sono due canguri giganti. Si chiamano Paul e Fiona, e secondo misurazioni attendibili possono saltare un metro in altezza e due di lato. Si muovono tra le gente che la sera affolla i vicoli di Sestri Levante. Stringono mani, distribuiscono pacche sulle spalle, parlano del continente australiano. Se qualcuno gli è simpatico lo prendono per il braccio e gli fanno fare quattro salti.
Paul Jones e Fiona Britton sono due degli artisti ospiti all’Andersen Festival. Esperti in trampoli, ne hanno progettato un paio che permette quest’andatura a balzelloni. Il loro spettacolo si intitola Roo’d kangaroos. Due performance al giorno. Quando rimettono i piedi a terra, a notte alta, sono distrutti.
Ma così è il teatro di strada. Teatro di resistenza, acrobazia, invenzione, visibilità. Come Paul e Fiona ce ne sono molti altri nel centro storico della cittadina ligure. Acrobati aerei, ginnasti con le loro incastellature d’alluminio, equilibristi su cicli monoruota. Un signore asciutto come un fachiro e con la barba lunga lunga (si chiama Andrea Loreni) presenta il personaggio più applaudito L’odalisca sul cavo. E si incontrano pure giocolieri e commedianti atleti: un giapponese, Senmaru Kagami, tiene le tazze da tè sempre in bilico, la poliglotta Girasola manipola sfere di vetro e altri ammennicoli che tira fuori dalla valigia, la comica australiana Judith Lanigan, in camice bianco, fa altrettanto con enormi palle oculari.
Sono i buskers, gli artisti di strada, finanziati in parte dal festival in parte dal pubblico, abbastanza generoso da riempire il cappello fatto girare sempre alla fine dello spettacolo. A Sestri li ha chiamati Leonardo Pischedda, che in pochi anni ha fatto crescere accanto al più autorevole e letterario Premio H. C. Andersen (oramai alla 37ª edizione, 1630 favole in concorso quest’anno, tra i vincitori nomi d’eccellenza come Calvino e Moravia) anche questo Andersen Festival, a cavallo tra teatro di narrazione e teatro di strada.
Se il teatro di strada è il carburante che per quattro serate alimenta la movida ligure dell’inizio dell’estate, la narrazione è invece il ponte tra letteratura e spettacolo. Una sezione del festival è riservata al teatro che racconta, o meglio, ai solisti raccontatori. Per loro l’atmosfera è un altra.
Una baia chiude ad arco la parte più raccolta del centro storico di Sestri, c’è la luce del tramonto e una piccola pedana di legno sfiora il pelo dell’acqua. Il pubblico, disteso sulla sabbia, sopra stuoie e asciugamani, ascolta. Può essere un racconto fantaecologico come Accadueò di Michele Santeramo interpretato da Franco Ferrante e Michele Sinisi. Oppure il resoconto di un viaggio, quello di Giuseppe Cederna in India. Possono essere le divagazioni post-mortem dello scrittore siciliano Roberto Alajmo, documentatissimo sui funerali di Pirandello. O le confessioni e le sconfessioni di classe di Michele Serra. O ancora i racconti del tempo del lavoro di Ascanio Celestini, accompagnato come sempre dalla musica di Zamarelli e D’Agostino.
Bello in ogni caso è il silenzio dell’ascolto. Tutti là, a sentire. Non per niente l’insenatura si chiama Baia del Silenzio. Ai Racconti della Baia, programmati ogni sera alle 18.00, fanno eco alle 21.30 i Racconti di Sera. Niente paura se tira un po’ di vento: Cederna parla dell’Himalaya e delle sorgenti del Gange e un piccolo brivido è di rigore. A Celestini tocca anche un compito più ufficiale: raccontare C. H. Andersen. Ma lo fa alla sua maniera, popolare e italica, così che lo scrittore danese sembra più vicino. Del resto, qui a Sestri, Andersen fu ospite nel 1835 e questo festival lo onora senza manie né presunzioni, facendosi bambino.
I bambini, a dire il vero, stanno altrove. Il teatro di narrazione è una faccenda per adulti. I bambini hanno optato invece per la strada. Per quel camion travestito da carrarmato e fatto arrivare fino a qui dai francesi di Genérik Vapeur. Loro, una compagnia storica di teatro urbano, hanno voluto duecento bidoni (bidoni da petrolio, capacità 200 litri) e li rotolano per le strade, accompagnati da un bel po’ di musica, fracassi, torce e scherzi col fuoco. Hanno le facce dipinte di blu e si arrampicano sulle impalcature. Come il pifferaio di Hamelin, trascinano tutti in periferia, nei pressi del capannone di un’industria dismessa. Poi lanciano un’automobile contro una catasta di bidoni e con l’acre fumo giallo che sale celebrano l’abbandono e la fine della fabbrica. O è solo la fine della serata. I bambini sono tutti là. Con gli occhi che brillano del rosso delle fiamme, applaudono la favola contemporanea e urbana del fumo e del fuoco.