a1n4marc5Bologna – Il varietà più piccolo e più pazzo del mondo. Caricaturali cinesini e cinesine, una spropositata divinità farfalla sfarfallante, in precario equilibrio su trampoli, pronta a librarsi in volo basculante. Una gabbia decorata con testoline contratte e imbalsamate. Un gorillone che presto finisce in pezzi.

a1n4marc1Un teatrino rosa confetto ingombro di boys&girls filastroccanti testi apparentemente poco significanti, ritmati, giocanti. Un balletto da tutto esaurito, incastri di corpi da ora di punta sulla metro, sederi sui piedi, un intreccio di mani braccia tronchi, parole asfissiate una sull’altra, ironici slittamenti e sbandate di un empio autore che si diverte a rimescolare elementi verbali come dadi.
L’entusiastico popolo cinesin saluta l’apparizione della dea farfalla mascherata, che nel nome ricorda la Suzie Wong di una canzoncina, o forse di un filmetto. L’ironia leggera, suonando note gozzaniane su un’armonia petroliniana, si trasforma in ripetizione, sempre più ossessiva, iterazione, verbigerazione. Si distende in volute che innestano sempre nuovamente suoni e sensi, come i sette corpi variamente si dispongono su primi piani e sfondi asfittici cercando di vincere la gravità pesante, con soggezione di popolo adorante, paziente, all’idolo che fa le sue malcerte prove di volo e le sue più sicure dichiarazioni di capriccio.
a1n4marc2L’ironia apre una vertigine leggera nello spettatore, portato fino al disagio dal testo, quando nella parte centrale dello spettacolo sembra che nulla debba mai più accadere. Marcido Marcidorjs sfida le convenzioni narrative, le attese di contenuti e di sensazioni da consumare, svuota lo spettatore per prepararlo a una resurrezione teatrale, formale catarsi finale che assomiglia a una discesa nel profondo.
Dichiara, come sempre, esplicita la sfida al buon senso culturale, con questo A tutto tondo – Nuova certificazione del mondo di Suzie Wong che ha debuttato a Torino al Teatrino di San Domenico e che si è visto anche al Link di Bologna. Basato, come i recenti Giorni felici e Una canzone d’amore, sul rapporto fra un solista e un coro che marcia come una macina. Come Una canzone d’amore incentrato su un poema drammatico di Marco Isidori, il regista del gruppo. Una scrittura acuminata e rifrangente come uno specchio rotto, letteralmente divertente, che svia altrove con sorriso a labbra tirate.
a1n4marc4Quando lo spettatore inizia a mostrarsi insofferente, il salto nel vuoto incomincia dal teatrino progettato dalla sapienza visionaria di Daniela Dal Cin. Si buca, si apre, si solleva, si ricopre. Si trasforma in macchina dalle infinite, sorprendenti possibilità. Il coro scompare in botole, riappare da tombini, lotta con la sua dea sollevandola con tutto il pavimento fin quasi a schiacciarla contro il soffitto, reggendone il peso che preme, facendola volare, avvolgendola in nastri rosa fitti come una rete di bende imbalsamanti. Come il fondo è un doppio fondo così pure le parole leggere mostrano una radice graffiante e il non senso diventa arsenico per ogni tranquillità, fino all’oracolarità della scemenza, al veleggiare nel buio, a un brivido di panico. Verità segrete sparate a raffica, pulsioni sotto le parole, invettiva nei toni, turpiloquio, sesso rimosso o lanciato a briglia sciolte, desiderio. Sceneggiatura scheletratura, sottile disperazione c laustrofobica risolta dall’irrompere finale della voce di Gino Paoli: quando sei qui con me, questo soffitto no, non esiste più. Il cielo in una stanza.
a1n4marc3tnRegge tutto il gioco una Maria Luisa Abate secca, tagliente, graziosa come l’acido solforico, imbozzolata, trasformata in meraviglioso freak che galleggia sull’energia del coro composto da Stefano Fornari, Alessandro Curti, Grazia Di Giorgio, Cristina Andrighetti, Argia Coppola, Roberta Cavallo.
Il teatro si rivela alla fine come follia. Come enigma nascosto sotto sfavillanti lustrini, sotto costumi abbaglianti, molto luccicanti e perfidamente, dolcemente sdruciti.
Lo spettacolo tornerà in scena a Torino al Teatrino di San Domenico dal 17 al 22 aprile