a1n8poggiali1Roma – Chi dovesse tra qualche decina di anni trovarsi nella necessità di ricostruire i primi anni della carriera d’attore di Fabio Poggiali, senza dubbio potrà iniziare dal volume Sulle orme delle “Compagnia dei Giovani”. Uscito ora da Bulzoni (255 pagine – lire 38.000, ma era già stato pubblicato nel ’96 da “Carte Segrete”) il libro infatti – oltre ad attraversare la ventennale attività della nota formazione teatrale, che dalla metà degli anni Cinquanta agli inizi dei Settanta si impone sulla scena italiana (e non solo, considerate le numerose tournée all’estero) – presenta nella parte conclusiva un’autocelebrazione dei primi successi di Poggiali. Senza false modestie, il giovane attore riporta in queste pagine ampi stralci di articoli critici che gli riconoscono le sue capacità sceniche a partire dal 1990, anno in cui incontra Rossella Falk, fondatrice insieme a Romolo Valli, Giorgio De Lullo e Anna Maria Guarnieri del nucleo primig enio e più compatto dei “Giovani”.
Dopo quel 1990 (lo spettacolo è Vortice di Coward, regia di Mino Bellei), Poggiali torna a lavorare accanto a Falk l’anno successivo ne I parenti terribili di Cocteau (regia di Giancarlo Cobelli), attivando un felice rapporto maestra-allievo, dal quale nasce ovviamente la volontà e la passione di raccogliere in un libro l’esperienza di un gruppo per molti versi unico nell’Italia teatrale in cui si sviluppa.
La trasmissione del sapere scenico dell’attrice prosegue con Il treno del latte non si ferma più qui e, tra l’altro, con Boomerang, fino a Anima nera, un testo scritto da Giuseppe Patroni Griffi proprio per la Compagnia dei Giovani nel ’59, che Rossella Falk riallestisce nel 1995 (curandone oltre alla regia, anche le scene e i costumi).
Sempre in quest’appendice (preceduta da cinquanta pagine di documenti vari: foto di scena, locandine, lettere ecc.), il trentaquattrenne Poggiali riporta tre interviste, a Falk, Guarnieri e Patroni Griffi e di quest’ultimo riprende anche il “diario di lavorazione” di D’amore si muore. Una bella selezione di materiali che tenta di ricostruire la parabola artistica di questa compagnia, <<la prima del dopoguerra – scrive Tullio Kezich – e ha perciò perfettamente assimilato la riforma viscontiana e strehleriana … di un teatro risoluto a liberarsi da tante cattive abitudini …>>.
a1n8poggiali2Un merito si deve riconoscere a questo volume che per molti aspetti soffre di una visione troppo soggettiva ed encomiastica ed è quello di presentare una serie di dati oggettivi sui protagonisti della Compagnia. Tutta la prima parte è una raccolta di schede biografiche e dettagliati curricula artistici di De Lullo, Falk, Guarnieri, Valli, oltre che di Tino Buazzelli, Elsa Albani, Luigi Squarzina (primo regista dei “Giovani”, che in questo libro scrive la prefazione), di Pier Luigi Pizzi (l’immancabile scenografo) e degli impresari. Nel volume non mancano i paragrafi dedicati agli allestimenti (dove emergono gli stretti rapporti della Compagnia con Luchino Visconti e le collaborazioni con Diego Fabbri; le memorabili prove pirandelliane e cechoviane) che Poggiali però tratta con un accanimento in senso positivo, rivestendo di un’aura mitica i “Giovani” e trascurando le interessanti polemiche provocate dai loro spettacoli. Un tratto che invece emerge nettamente nel volume che alla stessa Compagnia dedica Antonio Audino (Editalia, 1995). Lo sforzo di quest’ultimo sembra rivolto, oltre che ad una attenta lettura degli allestimenti, proprio a ricollocare il lavoro dei “Giovani” nel contesto sociale dell’epoca, sottolineando la loro <<scarsa capacità di trascrizione delle vere tensioni di quegli anni>> – scrive Audino nel capitolo dedicato a Anima nera – e i Sessanta devono ancora cominciare. Insomma, Poggiali nel suo libro sembra aver mutuato gli stessi limiti riscontrati in alcuni di quei meravigliosi e impeccabili spettacoli dei “Giovani”. Quella loro impermeabilità alle contraddizioni di una società che alla fine degli anni Sessanta è cambiata. E la splendida, tranquillizzante “normalità” dei “Giovani”, anche quando si affacciano argomenti “scabrosi”, provoca insofferenza. Mentre le lotte operaie e il movimento studentesco meglio si specchiano in una sperimentazione teatrale che cerca nuove forme e nuovi modi per l’arte scenica. Finalmente un “altro” teatro – di nuovo – sta conquistando la scena e nuovi spettatori. (M.S.)