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Roma – Chi ha paura di Beaumarchais? Sembrerà incredibile, o quasi, ma la più famosa commedia dell’Autore francese, Il matrimonio di Figaro, uno dei capolavori del teatro di ogni tempo, assai di rado è approdata sulle scene nostre, almeno in questo dopoguerra. Per ritrovarne un’edizione memorabile, andando indietro con la mente, bisogna risalire (chi ne abbia l’età) al gennaio 1946, quando al Quirino di Roma ne offrì un favoloso allestimento Luchino Visconti, avendo a protagonista Vittorio De Sica, già in procinto di affermarsi decisamente come regista cinematografico, con la prima delle sue opere postbelliche, Sciuscià. E si può anche ricordare (sempre se l’anagrafe lo consente) la fuggevole presenza all’Eliseo, maggio 1957, di una pregevole messinscena del Théâtre National Populaire di Jean Vilar.
Forse, a svantaggiare il Mariage, qui in Italia, è stata la gran celebrità acquisita dalle Nozze di Wolfgang Amadeus Mozart; bellissima creazione musicale, come tutti sanno, ma il cui pur piacevole, gustoso libretto, dovuto a a1n2figaroLorenzo Da Ponte, non può stare alla pari col modello. Anche di peggio è accaduto al Barbiere di Siviglia, prima parte della trilogia ideata da Beaumarchais (che si concluderà, in tono minore, con La Madre colpevole), e il cui titolo è naturale associare, piuttosto, al genio impareggiabile di Rossini.
Tanto più, comunque, è da apprezzare la riproposta che, del Matrimonio, ha fatto l’Ente Teatro Cronaca, già lo scorso anno, in “estiva” alla Versiliana, e ora nel quadro della stagione normale. Ricorreva, tra l’altro, nel 1999, il bicentenario della morte di Beaumarchais (era nato nel 1732, la data del suo risultato maggiore è il 1784). Lo spettacolo, ora a Roma, al Ghione, fino al 2 aprile (regia di Mico Galdieri, impianto scenico di Daniele Trevisi, costumi di Albina Fabi), ha un discreto smalto, e si giova d’una congrua distribuzione, dove spiccano il Figaro di Gigi Savoia e il Conte d’Almaviva di Aldo Reggiani; ma anche i ruoli femminili sono ben sostenuti da Francesca Bianco (Susanna), Diana Detoni (la Contessa), Gioietta Gentile (Marcellina). Peccato che il testo sia stato in certa misura depotenziato della sua carica politica e sociale, col taglio, in particolare, d’un colloquio, secondo noi fondamentale, tra Figaro e il Conte, Cosicché la citazione conclusiva della Marsigliese è giunta troppo bruscamente, davvero. (Visconti, dal canto suo, faceva irrompere alla ribalta, nel finale della rappresentazione, i Sanculotti con tanto di picche, al suono della Carmagnola …).