Lev Dodin che senso acquista rappresentare Cevengur tra i ruderi di Gibellina?

L’idea di mettere in scena Cevengur è nata qualche anno fa, quando, in visita in Italia, ho visto per la prima volta Gibellina. Mi ha molto impressionato la storia di questa città scomparsa in un istante. E mi ha colpito che tutto sia rimasto immutato, una sorta di monumento alla memoria, di città-cimitero. Per associazione d’idee ho pensato a Cevengur, anche se nel racconto di Platonov, la città muore per tutt’altro motivo. Ma in fin dei conti anche una rivoluzione è un terremoto nella mente e nell’anima degli uomini.

Quali le principali preoccupazioni di Platonov nel racconto Cevengur?

Questo romanzo è stato scritto nel 1927 e pubblicato per la prima volta nel 1987. L’autore in questo racconto esprime, in sostanza, le sue impressioni sugli avvenimenti e le conseguenze della rivoluzione, su come ha cambiato gli uomini. E’ un punto di vista molto sincero, perché Platonov era stato un rivoluzionario, ne aveva condiviso le idee. In uno stile fantastico, ha scritto una sorta di anti-utopia, una vera e propria profezia. Non siamo di fronte ad una satira o una denuncia del regime sovietico. Platonov parla di qualcosa che è presente in ogni uomo, e cioè di come il sogno del bene e della giustizia si trasforma progressivamente nel suo contrario, finendo per schiacciare l’uomo e l’umanità. Credo che sia uno dei libri più grandi e tragici del XIX secolo.

Ma dove è ambientato il racconto?

Si svolge in una città fantastica che l’autore ha chiamato Cevengur. Una piccola città di provincia i cui abitanti un bel giorno decidono di proclamare il comunismo. Vogliono che ci sia giustizia e felicità per tutti e subito. Non ci sono riferimenti storici nel racconto, perché l’autore voleva mettere in rilievo che tale situazione potrebbe verificarsi in qualsiasi luogo e momento, anche oggi o domani.

Qualche anno fa lei ha allestito un bellissimo spettacolo dal racconto di Abramov Fratelli e sorelle, sulle disastrose conseguenze dell’industrializzazione forzata nell’Unione Sovietica staliniana. Si potrebbe istituire un parallelo tra il racconto di Abramov e quello di Platonov?

Fratelli e sorelle di Abramov è legato ad un’epoca ed una situazione storica precise, e questo lo rende più realistico, mentre Cevengur è un racconto più fantastico, più complessivo. In Fratelli e sorelle i personaggi apparivano unicamente come vittime di un determinato sistema di potere. Oggi, ci appare molto più chiaro che non è il sistema a fare gli uomini, piuttosto sono gli uomini a fare il sistema. In Cevengur le vittime si trasformano facilmente in carnefici, prima degli altri e poi di se stessi.

Platonov è stato un autore censurato dal regime sovietico….

Sì. Sul margine di uno dei suoi primi racconti, pubblicato su una rivista all’inizio degli anni Venti, Stalin aveva scritto: “Farabutto”. Da allora Platonov in pratica non è stato più pubblicato.

Cosa l’ha affascinata di quest’autore?

Una sostanziale verità: che le cose più terribili sono fatte non per odio, ma in nome dell’amore, del desiderio di giustizia. Il libro mostra come certi orrori possano tornare a ripetersi. Possono chiamarsi comunismo, fascismo, nazionalismo, maoismo, fondamentalismo, quel che importa è che quando l’uomo cerca di realizzare il sogno di un paradiso terrestre, invece di raggiungerlo, finisce per creare un inferno per sé e per gli altri.