RIAFFERMAZIONE PROVVISORIA DELL'”UNITA'”

22.05.2004 | Renato Nicolini
I giovani riempiono la sala del Vascello di Roma per Trio Party, nuovo spettacolo di Marcido Marcidoris e Famosa Mimosa. Il regista Marco Isidori presenta tre monologhi beckettiani con grande accuratezza analitica. Il colpo d’occhio iniziale resta dominante, ma viene scomposto e riproposto fino a generare un voluto disorientamento semantico

Roma – Sotto il titolo Trio Party, Marcido Marcidoris (Marco Isidori), ha raggruppato tre monologhi beckettiani, mi sembra di origine non teatrale. Al Vascello, Daniela Dal Cin – trio1scenografa del gruppo – accoglieva gli spettatori, facendo le veci di ufficio stampa, pubbliche relazioni, etc. Mi è sembrata una prova del perdurare di uno spirito d’avanguardia del gruppo – Marcido Marcidoris e Famosa Mimosa – nel rapporto col pubblico. Lo spirito, più precisamente, di chi diffida della divisione rigida e della tecnicizzazione del lavoro. Ceneri di Marx? Entusiasmo terzoteatrista derivato, alla lontana, da Barba e Grotowsky? Comunque sia, è qualcosa di piacevole, molto piacevole. La sala del Vascello poi era piena, ed era piena di giovani, che gli attori del gruppo – mi hanno detto – erano andati a cercare all’Università “La Sapienza”, offrendo spiegazioni e biglietti a prezzo scontato. Anche queste, sono cose forse d’altri tempi, ma fanno sempre piacere.
Degli altri lavori del gruppo conservavo una memoria, forse un po’ indistinta, ma ugualmente piacevole – di uno sguardo capace di scovare gli aspetti nascosti di un testo e di illuminarli visivamente.
Beckett è diventato oggi un classico dell’avanguardia, però, quando lo si mette in scena è come tirare un bilancio, fare i conti con la propria storia, personale e di generazione. Come gli esercizi obbligati nelle gare di ginnastica. Affrontarlo con leggerezza è diventato come impossibile. I tre episodi del Trio sono perciò presentati con grande accuratezza analitica, senza sottrarsi a nessuna difficoltà ma senza particolare preoccupazione di ricomporre le analisi in sintesi. Il colpo d’occhio iniziale resta dominante, ma viene scomposto e riproposto fino a generare un voluto disorientamento semantico.
Nel primo episodio questo è ottenuto duplicando l’io narrante, affidandolo alla voce non di uno ma di due attori, in equilibrio simbolicamente instabile, aggrappati al palo-albero della cuccagna della scenografia di Daniela Dal Cin, appoggiati sopra gli altri sette in funzione di coro coreografico. Nel secondo, Dondolo, l’immagine della vecchia signora sul dondolo è immediatamente scomposta in tanti frammenti, in forma di cartello – ciascuno dei quali è sorretto dalla mano di uno degli attori, pronti a dividere il tutto in frammenti per poi ricomporre i frammenti in unità. Ma – <<Tempo di smettere!>> – ogni volta che risuona questa battuta l’immagine della vecchia signora esplode di nuovo in frammenti.
Solo nell’episodio conclusivo, affidato alla straordinaria voce solista di Maria Luisa Abate, la quale sembra emergere come una scultura dalla profondità (vagamente alla Anish Kapoor) di un tamburo circolare illuminato in rosso, prevale la sintesi dell’assolo. Contraddetto comunque dalla logica compositiva del finale, quando, mentre la Abate canta Voce ‘e notte, il buio in cui era rimasto il resto della scena finalmente si dissolve, e compare il resto della compagnia in forma di banda musicale. Un misto tra banda di paese, la reminiscenza di un tempo in cui l’espressione musicale era il retaggio del Bread and Puppet e della diffusione in tutto il mondo delle sue tecniche di affabulazione e delle sue tematiche ingenuo-sociali (penso al teatro, che oggi pochi purtroppo ricordano, di Lisi e Silvana Natoli alla tenda romana di Spazio Zero), forse persino (ma credo che questa sia sicuramente una mia sovrapposizione alquanto personale) della Sergent Pepper’s Lonely Haerts Band.trio2
L’insieme dei tre episodi si conclude dunque con la riaffermazione provvisoria dell’unità dell’esperienza offerta allo spettatore – che ha avuto comunque modo di intrecciare, alle immagini sonore ed in movimento che ha visto sul palcoscenico, la propria personale immaginazione. Ecco ciò che distingue il teatro dallo spettacolo massmediatico oggi offerto dalla televisione (ma anche da certi palcoscenici più attenti alla mondanità che ai contenuti), in cui l’immaginazione dello spettatore è non soltanto passiva, ma persuasa, spinta, educata alla passività.
Questo fascino delicato, l’impressione di cosa vera, di evento non meccanico ma capace di riproporsi differente ogni sera mi è sembrato costituire l’essenza anche dell’ultima fatica del gruppo di Marco Isidori. Qualcosa capace di emergere, come ultima gratificante sensazione, dalle difficoltà di testi complessi, che lo spettatore è invitato ad ascoltare con attenzione, senza che gli venga consentito di abbandonarsi inconsapevole al flusso meccanico dello spettacolo.
Trio Party, Marcido in Beckett’s love
al Teatro Vascello è arrivato il 18 maggio. Repliche fino al 23 maggio.