a1n3test1Tiezzi o Lombardi? Un po’ di gioco dialettico è magari concesso, visto che Sandro Lombardi è quasi una superstella dei palcoscenici, e Federico Tiezzi è l’allestitore di spettacoli che hanno come filo comune Giovanni Testori. Sono spettacoli di qualche tempo fa, ma reggono benissimo al tempo, anzi acquistano qualcosa man mano che vengono riproposti, suscitando gradimento senza contestazione alcuna, giocati come sono ormai su un trinomio supercollaudato. Se si parla del Testori scenico, si pensa a Tiezzi, si pensa a Lombardi. Se si pensa a quest’ultimo si ha l’immagine di un attore straordinario, devoto alla parola testoriana, l’interprete che, se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Tiezzi, come aderisse quale guanto alle succitate coordinate, avvolge il suo interprete prezioso con le tinte e i tempi dei Magazzini: il colore saturo, il salto mortale del kitsch che si riassorbe in gesto curato, la tentazione neobarocca coniugata senza troppo ferire con qualche tinteggi atura postmoderna che non stanca. Il gioco dialettico è allora gioco armonico, senza che il mattatore giunga a spadroneggiare, senza che il regista sovrapponga schemi suoi di prepotenza.
Il Valle di Roma ha presentato una sorta di pannello incatenato che ha buonissime ragioni d’essere, con un numero, Edipus, che nel ’94 si è meritato due premi Ubu; una serata con due testi, Due lai (Erodiàs – Mater strangosciàs), per la prima volta in scena nel luglio del ’98; una parentesi conclusiva, Cleopatràs (in realtà cronologicamente anteriore ai Due lai nell’invenzione testoriana), premio Ubu a Lombardi nel ’97.

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Il tutto da vedere come proposta affidata al teatro, come sequenza di oggetti politi e traslucidi, come insieme ormai definitivamente inscindibile di testo e criteri rappresentativi. Insomma, ecco il Testori di Lombardi–Tiezzi. Suona diverso dai testi originali? Suona come suona, ora. Con una figura perno, un’icona di sicura affidabilità che trasmigra dal complesso, intarsiato Edipus, coacervo di pulsioni erotico–metateatrali, al doppio numero Erodiàs – Mater Strangosciàs, ove ancora si richiede la presenza immaginata di una platea attenta, mentre l’Erodiade padana si scioglie nel casto recital di una Madonna senza trucco, e la Cleopatràs ancor ossessa dal corpo di Antonio, si offre sotto un bagno di luci fassbinderiano.