IN BILICO TRA FINZIONE E REALTA’

a1n18fort1Volterra (PI) – Quarta replica nel carcere di Volterra per questo Macbeth, che Armando Punzo ha allestito con la Compagnia della Fortezza e che presenta, com’è consuetudine, all’interno del festival Volterrateatro di cui il regista è rimasto unico direttore artistico. In una lotta contro il tempo e i mezzi di trasporto riusciamo a raggiungere il Maschio a spettacolo iniziato. Una guardia ci accompagna fino al cortile, dove ogni anno gli detenuti-attori incontrano gli spettatori. Ma questa volta la messinscena non si svolge sotto il sole rovente di luglio: si trova “rinchiusa” in un’enorme scatola di cartone alla quale si accede attraverso un “labirinto” (costruito pure nell’Orlando Furioso, ma con assi di legno). E’ spiazzante già questo apparato scenografico, ovattato, effimero e caduco più che mai, in balia di quei nuvoloni neri che si addensano sopra il cielo di Volterra. Ma più spiazzante è l’affondo che la compagnia compie utilizzando la traccia shakespeariana, sviluppata dentro la solita stanzetta in nove mesi di lavoro.
Tutto è giocato sulla sottilissima linea di confine che “non” separa la finzione dalla realtà. In questo bilico gli attori si avvicendano nella parte dello scozzese regicida, entrando in uno psicodramma, condotto direttamente da Punzo, questa volta palesemente in scena con i suoi attori. E se nella Prigione uno degli elementi di forte impatto era il lavoro fisico della massa di attori-detenuti in continuo movimento sulla pedana obliqua, in questo Macbeth è la solitudine dei singoli a colpire allo stomaco lo spettatore.
a1n18fort2Chiamato dal regista, ciascun attore si alza dalla sedia su cui fino a quel momento ha atteso il suo turno e inizia a scavare dentro se stesso. Un gioco spregiudicato e estremo che porta ad impugnare coltelli e a ripetere all’infinito il gesto omicida, nella convinzione di compiere un’azione teatrale, liberatoria. Altre volte, invece, chiamato in scena da Punzo, un altro attore-detenuto avvia come in trance il delirio post omicidio di Macbeth. Basta una corona sul capo, un mantello sulla schiena oppure una gabbia di ferro che comprime il corpo per entrare repentinamente al culmine della follia.
L’azione maieutica di Punzo arriva talvolta ad offrire un po’ di colore rosso che l’attore si spalma volentieri sulle mani, interrogandosi sul male compiuto – dal personaggio – mentre sui monitor sparsi in scena passano le immagini di altri Macbeth (quello di Carmelo Bene, Glauco Mauri…). Una ridondanza che si esaspera quando i monitor, come fossero specchi, per altro usati in altri momenti dello spettacolo, iniziano a vomitare lo stesso pezzo che l’attore sta agendo in quell’istante sulla scena.
Ma lo sconfinamento nel reale di questa finzione scenica arriva al parossismo quando il fragore dei tuoni che esce dagli altoparlanti si sovrappone alla furia della natura, annunciando un temporale che fortunatamente non arriverà ad afflosciare la scatola scenica.
Lasciandola integra ancora per un giorno, l’indomani. Data fissata per la firma del Protocollo di intesa col Ministero della Giustizia che finalmente riconosce il lavoro ultradecennale della Compagnia della Fortezza. Firma che segna la nascita ufficiale a Volterra di un Centro nazionale teatro e carcere.(M.S.)