a1n15dos1Roma – Sono giunte in tre, a Roma, e almeno per due ragioni: <<We are going to march>> – dicono – <<Andremo a sfilare>>, con riferimento all’appuntamento di sabato prossimo per il momento conclusivo e più contestato (con relativa storia di patrocini comunali assegnati – sembra – già anni fa e poi negati) del World Gay Pride; e poi, per assistere alla versione italiana di un loro testo teatrale, Peg e Gracie – Dos Lesbos, fino al 9 luglio al Teatro Belli, diretto e interpretato da Paola Sambo e Gloria Sapio, vale a dire una delle più sicure e affiatate coppie sceniche del nostro panorama.
Si chiamano Terry Baum, Carolyn Myers e Alice Ann Thompson II. Oggi conducono carriere professionali separate, ma si ritrovarono insieme all’interno del Lilith Theatre venticinque anni fa. Durante l’incontro del 4 luglio alla romana libreria Babele – praticamente l’unica libreria gay della Capitale – Terry Baum, quasi circonfusa di un particolare carisma, ma anche di un macerato rigore quasi palpabile, si è fatta portavoce del gruppo e ha raccontato storie personali e collettive. Lei è stata fra le fondatrici, a San Francisco, del Lilith: un gruppo solido, un’esperienza importante, ma anche soffocante (fra l’altro fu invitato a Roma da Dacia Maraini, al Teatro della Maddalena nel 1979, dove presentò un lavoro dal titolo Moonlighting). <<Si trattava di un collettivo femminista, e ad ogni membro era concesso diritto di veto>>. Tutto questo, oltre ad un rischio di paralisi espressiva, dava origine ad atteggiamenti autocensori, addirittura a timori verso l’esterno, verso il pubblico. Qualcuno si sarebbe potuto sentire anche urtato da certi argomenti portati in scena…. La tappa successiva è stata dunque una tappa di liberazione: nasce, nel 1980, un nuovo gruppo teatrale, Sharpened Spoons, Cucchiai affilati. Al centro c’è ancora lei, Terry Baum, e con lei due compagne del Lilith: Alice Ann Thompson II (compagna nella vita di Terry per un certo periodo) e Carolyn Myers. Il maggiore successo scenico che si sviluppa intorno a Sharpened Spoons è appunto Dos Lesbos, in replica a San Francisco per due anni consecutivi, testo che è stato pubblicato su Places Please!, prima antologia di drammaturgia lesbica, pièce che ha conosciuto più di quaranta edizioni diverse ed è stata tradotta e pubblicata in tedesco, svedese ed ebraico (Baum è ebrea, e questo non è un particolare secondario nel suo approccio con la scelta di alcuni soggetti teatrali). Una commedia di argomento lesbico, che conosce un’origine a1n15dos2autobiografica, almeno in una fase di elaborazione iniziale, vale a dire la relazione fra Terry e Alice. <<Vivevamo nella villa di Eugene O’ Neill con la funzione di guardiane. Credevamo di essere le uniche due lesbiche nel raggio di chilometri>>. E spunta il particolare di una statuetta famosa, unica. <<Nello studio di O’Neill potevamo vedere la statuetta del Nobel con la quale era stato insignito>>. Dal coacervo di stimoli vari, dall’esperienza della vita, dalla sperimentazione della diversità, sorge l’impianto di questo testo: si ride, certo, ma si raggiunge, proponendosi in questa chiave, anche un pubblico più vasto, al quale si sottopone una visione dell’universo lesbico non necessariamente punitiva, chiusa su se stessa, e magari anche carente dell’elemento della solidarietà. Una scrittura, questa di Dos Lesbos, che in realtà vede come autrici ufficiali Baum e Carolyn Myers, ma che può vantare nella sua tramatura, nella sua scaturigine, la presenza di Alice Ann Thompson II, la quale, racconta, <<non scrivo a macchina>>, e attualmente, dopo essersi dedicata a tutti i ruoli della produzione e diffusione teatrale (non esclusa la maschera e la costumista), si prepara al debutto, come regista, di Aria da Capo, un testo di Edna St. Vincent Millay, che andrà in scena a Santa Barbara in California. Myers attualmente fa parte di The Hamazon, una compagnia tutta di donne, e dirige inoltre un gruppo di giro composto esclusivamente da attori under venti, che propone soltanto spettacoli originali.
a1n15dos3Tornando a Baum, centro focale dell’incontro condotto da Mariateresa Surianello, è con il suo raccontare che abbiamo un’immagine sempre più scavata e più precisa di lei. Dice che se fosse ricca aprirebbe un suo proprio teatro, ove le limitazioni materiali (e quindi finanziarie) alle messinscene verrebbero superate, ove verrebbero montati spettacoli di autori, troppo spesso nell’ombra o del tutto ignorati. Chi poi si era fatto un’immagine di lei come quella di un’autrice amante esclusivamente dell’ironia, si è presto ricreduto. Elencando i suoi passati lavori, Terry ha parlato ad esempio di Immediate Family. Un monologo, tutto centrato su una donna che si trova a vegliare la sua compagna in coma e, visto che la loro unione non è riconosciuta dalla legge, non può prendere la decisione finale di staccare il respiratore. L’ebraismo di Terry trova pieno e doloroso riflesso in Yellow Room (lavoro che gira anche sotto un altro titolo, Divide a living child), testo che nasce da approfondite ricerche storiche intorno alla Seconda Guerra Mondiale, ed è ambientato ad Amsterdam durante l’occupazione nazista. Una madre ebrea e sua figlia vengono nascoste da una donna che però chiede un alto prezzo in cambio della protezione che è disposta a dare, visto che è sua intenzione mettere in atto una intollerabile e più silenziosa violenza, quella cioè di convertire la bambina al cristianesimo.
Un incontro intenso, quello di martedì scorso alla libreria Babele: diritti civili (negati), sguardo acuto sulla realtà, attività militante ininterrotta, vite appassionatamente dedicate al teatro. Grazie ancora a Terry Baum, Carolyn Myers e Alice Ann Thompson II.